Isola del Cantone

Scopri il fascino autentico di Isola del Cantone, un piccolo comune incastonato nell’alta valle Scrivia, nel cuore dell’Appennino Ligure. Lontano dai ritmi frenetici della città, questo borgo offre un’oasi di pace e tranquillità, circondato da paesaggi mozzafiato.
Abitanti
1387
Altitudine
298 m
Info & Turismo

Insula è il nome antico del luogo e trae origine dalla posizione alla confluenza di due fiumi, lo Scrivia e il Vobbia. L’abitato sorse intorno ad un monastero benedettino, fondato nel 1216 lungo l’antica Via Postumia e dedicato a san Michele Arcangelo; appartenne, a partire dal Medioevo, ai marchesi di Gavi e fu terra di scontri fra la Repubblica di Genova e la diocesi di Tortona per il dominio del territorio. Soltanto nel 1218, si avviò una trattativa tra le due parti politiche, dividendo in due i feudi della valle Scrivia. La sezione a sinistra del torrente Scrivia fu attribuita ai genovesi, ad eccezione del Borgo di Serravalle, mentre la parte a destra del fiume passò a Tortona.

Nel 1235, divenne feudo della famiglia Malaspina e, dal 1256, passò agli Spinola facendo parte, sino al 1797, dei Feudi Imperiali della Valle Scrivia, soppressi da Napoleone Bonaparte. Nel 1797, rientrò, con capoluogo Rocchetta Ligure, all’interno della Repubblica di Genova. Dal 28 aprile del 1799, con i nuovi ordinamenti francesi, divenne capoluogo del VII Cantone e dal 1803 centro principale del VI Cantone dei Monti Liguri Occidentali della giurisdizione di Lemmo.

Nel 1863, assunse l’odierna denominazione di Isola del Cantone.

Cosa vedere a Isola del Cantone

Il primo edificio parrocchiale fu fondato dai monaci benedettini tra il XII e il XIII secolo. Anticamente conosciuta anche con la denominazione di San Michele di Campo, fece parte della Diocesi di Tortona. Fu il pontefice Innocenzo III, nel 1216, a stabilire l’appartenenza alla arcidiocesi di Genova, ma aggregandola al Monastero di San Michele della Chiusa dell’arcidiocesi di Torino. Nel 1310, fu annessa alla pieve di Santa Maria Assunta di Borgo Fornari, frazione odierna di Ronco Scrivia. Il coro fu costruito nel 1618 e, in base ad alcuni documenti, all’interno della chiesa furono ospitate le reliquie dei santi Stefano e Innocenzo, donate dal marchese Gerolamo Spinola. Nel 1901, l’edificio fu ornato di nuove decorazioni del pittore milanese Rodolfo Gambini e le due preziose reliquie dei furono trasferite in un unico reliquiario di bronzo dorato. All’interno della chiesa si conserva una tela raffigurate la Crocefissione di Gesù.

Il palazzo venne costruito nel XIV secolo come centro di giurisdizione della famiglia Spinola. Nel 1628, fu aggiunta una loggia a base quadrata e di tre piani per frenare il collasso della struttura verso il greto del fiume. Con la fine dei feudi imperiali, il palazzo perse la sua funzione e, nel 1819, gli ultimi eredi degli Spinola lo cedettero alle famiglie Denegri e Zuccarino. Il Comune ne acquisì la porzione sud e la loggia. Il Palazzo Spinola è stato poi oggetto di un lungo restauro che ha consentito di poterlo rendere sede del Museo Archeologico dell’Alta Valle Scrivia. Il Museo ospita una rassegna del popolamento dell’Alta Valle Scrivia attraverso reperti archeologici recuperati nel corso degli anni nel territorio che, fin dalla Preistoria, ha rappresentato una delle principali direttrici di contatti tra le popolazioni insediate nella costa ligure e quelli dell’Oltregiogo. La Valle è stata anche oggetto di indagini archeologiche e studi che ne dimostrano la vitalità anche in epoche più antiche. Vi sono reperti archeologici dal Neolitico al 1500, rivenuti nella zona e corredati da schede didattiche. Le altre sedi della struttura museale sono in Valbrevenna, in località Senarega, a Vobbia, presso il Castello della Pietra, a Montoggio presso il Castello dei Fieschi e a Ronco Scrivia presso il Castello di Borgo Fornari.

Secondo fonti storiche la costruzione del castello avvenne in epoca successiva all’acquisizione del feudo da pare degli Spinola, nel 1256. La probabile datazione potrebbe attestarsi alla seconda metà del XIII secolo. La fortezza si presenta a strapiombo lungo la riva destra del torrente Scrivia, nei pressi della confluenza del corso d’acqua con il Vobbia; originariamente si presentava a forma quadrata, con torri agli angoli delle mura ed ampio cortile interno. Nel corso dei secoli successivi subì ampliamenti e rivisitazioni, tra questi la realizzazione, nel 1628, della loggia a base quadrangolare e l’aggiunta di altri tre piani al corpo principale alterarono il primitivo impianto medioevale, con l’unica eccezione nella torre a picco sul torrente. Nel territorio, oltre al Castello Spinola Mignacco, sono presenti diversi castelli costruiti dalla famiglia Spinola: il castello Spinola di Cantone che fu eretto nel XIV secolo e oggi quasi inglobato tra le costruzioni adiacenti; un’ulteriore costruzione difensiva fu costruita tra il XI e il XII secolo nella frazione Montessoro, Bric Castellazzo, la cui struttura era costituita da due torri ancora oggi in parte visibili.

Il Santuario è ubicato lungo la strada di collegamento tra la frazione Monterosso con Vobbietta, nei pressi del greto del torrente Vobbia. Secondo la tradizione religiosa, un primo culto verso la Madonna del Tuscia cominciò nel 1610, quando un contadino locale, Giovanni Battista Mutto, edificò un’edicola per la deposizione e adorazione di una statuetta della Madonna della Misericordia. La devozione religiosa verso la Madonna del Tuscia le attribuisce la protezione del paese contro l’epidemia di colera del 1835. La leggenda popolare racconta che, siccome per la costruzione della chiesa non era stata chiesta al barone Spinola alcuna autorizzazione, lo stesso si recò in loco per abbattere il pilone votivo, ma una pericolosa caduta da cavallo nel greto del torrente Tuscia, dalla quale il barone si salvò per miracolo, distolse lo stesso dall’abbattimento. La cappelletta secentesca fu ampliata nel 1843 e venne creato un edificio a navata unica e con un attiguo campanile a cipolla. All’interno della chiesa è custodita l’immagine di Nostra Signora di Tuscia (Santa Maria Bambina), mentre la statuetta del Seicento è posizionata in una nicchia sulla facciata esterna dell’edificio.

Lungo la strada che collega i Comuni di Isola del Cantone e Vobbia, poco prima di giungere alla frazione Vobbietta, è presente un antico ponte, detto “di Zan”. Una leggenda locale racconta che tale passaggio viario fu costruito dal Diavolo in persona in cambio della prima anima che lo avesse attraversato. Quando sopraggiunse il paesano Zan (diminutivo di Zane, Giovanni, in dialetto genovese) quest’ultimo ingannò il diavolo facendo rotolare sul ponte una formaggetta e mandando poi il suo cane a riprenderla. Uscendo dalla leggenda, si può dire che il ponte potrebbe essere stato costruito da Zan, Giovanni Malaspina, figlio di Opizzone della Pietra, signore del Castello di Vobbia. Dal ponte prendono corso due sentieri boschivi: il “Sentiero dei sette seccherecci” (locali in pietra per l’essicazione delle castagne) e il “Sentiero dell’acqua pendente”.      

Scopri gli altri comuni