Un’ascia neolitica in ossidiana nera e tracce di pali di fondazione di strutture linee, emerse casualmente durante i lavori al campo sportivo, forniscono più antichi riscontri archeologici sulla presenza di una facies arcaica nel luogo dove sorgerà, in seguito, l’insediamento urbano di Gavi.
Un riferimento all’epoca romana viene poi suggerito per l’origine del toponimo «Gavi»: una derivazione dal nome personale Gavius, molto diffuso nell antroponimia latina; altro riferimento col vocabolo germanico gawi, inteso come villaggio o contrada.
Il primo riferimento a Gavi, contenuto in un documento d’archivio del 972, lo menziona come locus, ovvero un primitivo nucleo di popolazione agricola.
Nel 1006 alcune terre dell’area gaviese risultano in possesso del vescovo di Genova. Altri fondi rurali invece, vengono poi donati nel 1033 dal marchese Adalberto II (capostipite degli Adalberti di Gavi, Parodi e Massa) al monastero di Santa Maria di Castiglione Parmense.
Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, Gavi è assegnato con la Repubblica Ligure al Piemonte sabaudo. In seguito la città viene inclusa nella provincia di Novi nell’ambito della divisione di Genova sino al 1859, successivamente entra a far parte della provincia di Alessandria.
Cosa vedere a Gavi
- BORGO MEDIEVALE
- GHETTO EBRAICO
- PONTE VECCHIO DEL LEMME
- CHIESA DI SAN GIACOMO MAGGIORE
- FORTE
- CONVENTO DI N. S. DELLE GRAZIE DI VALLE
- SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA GUARDIA
Non si può visitare Gavi e tralasciare il borgo medievale, oggi in parte urbanizzato. L’itinerario ripercorre l’antica “Strada del Pedaggio”, che iniziava in vicinanza dell’osteria della Maddalena, sulla biforcazione tra la Via dei Cavalieri di Vittorio Veneto e la Strada del Lemme. Oggi è ancora presente un edificio rurale che conserva tracce delle originarie strutture seicentesche.
Riprendendo l’itinerario lungo Via Voltaggio, in prossimità del guado per Bosio, ci si imbatte nell’edificio del mulino della Maddalena: un opificio già ricordato nel 1421 come «Molino superiore presso la chiesa di sant’Eusebio.»
Il riferimento a Sant’Eusebio, è una delle numerose testimonianze relativa all’esistenza di un monastero omonimo nell’area occidentale della Maddalena: viene ricordato tra il 1127 il 1462 come dipendente dall’Abbazia Benedettina di Santa Maria di Castiglione Parmense. Nel 1530 il monastero viene poi abbandonato e progressivamente scompare. Sulla stessa area viene edificata una fornace, ancora esistente nel 1914.
VIA GARIBALDI E IL CONVENTO DI SANTA MARIA DELL’ANNUNZIATA
Via Garibaldi, incuneata nel quartiere di Mezzo superiore, è la vecchia contrada del Carmine: nell’area che oggi ospita il teatro comunale sorgeva un tempo il convento di Santa Maria dell’Annunziata. un edificio risalente alla seconda metà del XVI secolo, in cui si trasferirono i Carmelitani dopo l’abbandono del Monastero di Sant’Eusebio.
All’interno del convento, nel 1528 vi erano sei altari ma nel 1798 venne espropriato dalla Repubblica Ligure e «l’ampio fabbricato con le numerose sepolture delle famiglie gaviesi venne abbandonato alla studiata volontà di distruzione.»
Fra le opere d’arte conservate all’interno del convento, si riuscirono a recuperare un Crocefisso ligneo settecentesco, alcune statue e l’altare marmoreo che, acquistati da Monsignor Antonio Reggio, furono donati all’oratorio dei Bianchi. Monsignor Reggio decise di far edificare anche, a margine dell’area in cui sorgeva il convento, una piccola cappella dedicata a Santa Maria del Carmine, tuttora esistente.
L’organo della chiesa invece, fu acquistato dalla Compagnia del Rosario e donato alla parrocchia di San Giacomo.
Poco più avanti ci si imbatte nell’antico ospedale, oggi Casa Protetta. L’ospedale venne innalzato su una precedente costruzione in cui erano stati ospitati, all’inizio del XIII secolo, un gruppo di «battuti» o «flagellanti», provenienti dalla Francia meridionale. Inizialmente l’ospedale fu intitolato a San Cristoforo e, ricostruito nel XVI secolo, venne disposto di separare le camere da letto delle donne.
Riprendendo il percorso e passeggiando per via Mameli, si possono ammirare i più importanti palazzi nobiliari gaviesi:
- Palazzo di Giovanni Battista Cambiaso, con la caratteristica cappella privata (1798);
- Palazzo di Giovanni Battista Marenco, con annessi i due forni pubblici di Gavi;
- Palazzo edificato nel 1705 da Pompeo Rocca;
- Palazzo di Città, risalente al 1589 e sede storica del Comune di Gavi;
- Palazzo Da Passano, che ospitava le scuole elementari;
- Palazzo Borlasca, edificato nel XIV secolo e ospitò l’imperatore Carlo V nel 1529;
- Palazzo Rocca Sartorio (ristrutturato nel 1641);
- Palazzo Raggio, antica saliera;
- Palazzo Serra (già Pinelli gentile) del XVII secolo.
IL PORTINO
La porta di Bagnacavallo viene indicata come Portino nella toponomastica e nella consuetudine locale. E’l’unica porta di accesso alla città di Gavi sopravvissuta, in quanto «dimenticata».
infatti il suo percorso, poco consueto per l’accesso al borgo, veniva usato principalmente per raggiungere il sottostante mulino. Indicato come «mulino di mezzo», era di proprietà dei marchesi di Gavi.
La porta presenta una pianta rettangolare di tipo monodirezionale; la bifora della facciata, con colonnina e semplice capitello corinzio, unitamente all’arco acuto del piano terra, sembrano riferire la datazione dell’opera agli inizi del Duecento.
L’ORATORIO DEI BIANCHI
Tra via Garibaldi e via Ospedale sorge l’oratorio della confraternita dei Santi Giacomo e Filippo, comunemente indicato come oratorio dei Bianchi per via del colore delle cappe.
La confraternita figura già nel 1583 tra quelle indicate dal visitatore apostolico della diocesi di Genova.
L’oratorio, restaurato nel 1975, presenta esternamente una struttura semplice mentre l’interno, a unica navata, venne decorato nel XVI secolo con episodi delle storie della Passione da Giovanni Agostino Ridolfi.
Le pitture murali sono scomparse, a seguito della posa in opera dei due altari laterali e dell’organo, realizzato da Carlo Serrassi nel 1827.
Sono ancora ben visibili alcune opere:
L’affresco del Giudizio Universale, dipinto alla metà del XVII secolo da Giovanni Battista Carlone; il crocefisso processionale attribuito a Gerolamo del Canto e le statue barocche dell’Immacolata, di San Rocco e di Santa Limbania. All’interno dell’oratorio è conservata una pala d’altare del serravallese Bernardo Montessoro, raffigurante la Vergine col Bambino tra i SS. Gottardo e Rocco, firmata e datata 1608.
L’ORATORIO DEI TURCHINI
In adiacenza all’ospedale troviamo poi l’oratorio della confraternita di N. S. Assunta, indicata come confraternita dei Turchini.
In origine era denominata Compagnia dei disciplinati di Santa Maria, figurando già nel 1582 per la gestione del Monte di Pietà che concedeva prestiti alle famiglie povere senza praticare interesse. Questa funzione venne mantenuta dai Turchini fino ai primi decenni del Novecento.
All’interno della chiesa troviamo un’unica navata con volta a botte e al suo interno sono conservate pregevoli opere d’arte tra le quali: statuina lignea policroma della Madonna Immacolata, attribuita alla scuola napoletana del XVII secolo; il gonfalone in tessuto operato con ricami in fili d’argento, raffigurante la Madonna Assunta sul recto e sul verso San Giovanni Evangelista. Su supporto del gonfalone viene inserita una croce astile in argento di manifattura francese, riferibili ai primi del Settecento.
La statua di Sant’Antonio Abate, proveniente dalla cappelletta sconsacrata del Paraso, in Piazza Marconi.
La statua lignea policroma della Madonna Assunta, opera egregia di Bartolomeo Carrea, scultore gaviese e attivo soprattutto a Genova.
La statua lignea barocca di Santa Lucia e la statua marmorea della Madonna delle Grazie, assegnate al secondo decennio del XVII secolo.
L’organo della cantoria,venne realizzato dall’artigiano pavese Giovanni Battista Lingiardi e posto in opera nel 1824.
L’ORATORIO DEI ROSSI
Lungo la strada che conduce alla contrada Borgonovo, sorge l’oratorio della confraternita della SS. Trinità, tradizionalmente denominata «dei Rossi».
La confraternita, testimoniata dalla seconda metà del XVI secolo e aggregata all’arciconfraternita della SS. Trinità di Roma nel 1609, gestiva il Monte del Grano e un forno costruito nel 1670, affittato poi a privati con l’obbligo di vendere pane e i generi alimentari a basso prezzo.
La chiesetta dei Rossi presenta al suo interno una navata unica con volta a botte e conserva, oltre a un organo costruito nel 1879 dall’artigiano Camillo Guglielmo Bianchi, numerosi pregevoli reperti d’arte.
La pala di Giuseppe Palmieri, che raffigura la Vergine col Bambino e i Santi Agostino e Agata;
il dipinto Ecce Homo, realizzato da Luciano Borzone; il quadro Martirio di San Sebastiano, di scuola spagnola del XVII secolo; La Sacra Famiglia con San Giovanni, prossima agli stilemi del Paggi cambiasesco.
Nell’oratorio vi è anche conservata una tela a soggetto profano, ovvero raffigurante la Continenza di Scipione, realizzata da Giovanni Raffaele Badaracco.
In piazza delle Mura, indicata come Contrada delle Cricche, sorgeva il piccolo ghetto ebraico di Gavi.
Fino al XIX secolo la Porta di Parodi.
La costruzione, che rappresenta il più insigne monumento di architettura religiosa dell’Oltregiogo, fu edificata durante la signoria dei marchesi di Gavi, in un periodo precedente il 1172.
Significativamente dedicato a San Giacomo Maggiore, conserva la memoria di un precedente ospizio per pellegrini sulla via di Campostella.
Originariamente era incluso nell’ambito della diocesi di Tortona, per passare poi, nel 1248, alla diocesi di Genova.
L’edificio viene spesso assegnato alla facies lombarda del romanico, anche se non mancano autorevoli letture che ne rilevano «una struttura architettonica completamente genovese».
ASPETTI ESTERNI
La facciata è la parte maggiormente integra dell’edificio originario.Sono presenti delle sculture che, si ipotizza, siano state realizzate da artefici che nel decennio precedente avevano lavorato nel Duomo di Genova, ai portali di San Damiano e di San Gottardo.
L’architrave sull’ accesso è decorato da un altorilievo, rappresentante a Coena Domini: al centro il Cristo che sovrasta i dodici Apostoli disposti simmetricamente, sei per parte, dietro la prospettiva della tavola imbandita.
Al colmo del timpano del portone è scolpito, a tutto tondo, Sansone che cavalca una fiera: un Riferimento Cristologico alla lotta contro le potenze del male.
La torre presenta una struttura a ottagono non equilatero, di epoca medievale. L’orologio è inscritto in un tipico occhio romanico.
La campana maggiore, posta in opera nel 1352, recava l’impronta del simbolo araldico dei Visconti, all’epoca signori di Gavi.
LE OPERE
Al fondo della navata destra è presente un piccolo dipinto murale tardo gotico raffigurante i Santi Sebastiano e Rocco, scoperto nel 1967.
A sovrastare l’altare maggiore vi era il polittico di San Giacomo, realizzato nel 1478 da Manfredino Boxilio e oggi conservato all’Accademia Ligustica di Genova.
Seguono, dal fondo della navata destra, i dipinti che raffigurano il Sogno di San Giuseppe, di Giovanni Battista Poggi, e la Risurrezione di Lazzaro, del serravallese Bernardo Montessoro.
Vi è poi la pala della Madonna col Bambino tra i SS. Giacomo e Giovanni Battista, opera di Gandolfino da Roreto.
L’abside è ornata da una statua in bronzo di San Giuseppe, realizzata nei primi anni Sessanta del secolo scorso.
Nel presbiterio sono collocati: il dipinto raffigurante la Trinità e i SS. Girolamo e Francesco da Paola, e San Giacomo che scaccia i Mori, di Giovanni Raffaele Badaracco.
In navata sinistra è collocata il dipinto il Battesimo di Cristo, realizzato da Lazzaro Calvi nel 1591.
L’altare marmorea è sormontato da una statua marmorea della Vergine col Bambino, opera dello scultore toscano Carlo Cacciatori.
Il segmento finale della parete è decorato da un affresco della Madonna della Misericordia, assegnabile agli ultimi decenni del XIV secolo.
Al fondo della navata è conservata la statua lignea policroma della Madonna del Rosario, eseguita nel 1854 dallo scultore gaviese Luigi Montecucco.
La fortificazione conserva la traccia di un’antichissima costruzione bizantina, ancorata su fondamenta ancora più remote.
Il nucleo centrale dell’arce ingloba memorie dell’antico castello dei marchesi di Gavi: le rampe di accesso, le due torri quadrangolari, il muro che sale al Bastione dello Stendardo.
Vi è una testimonianza della presenza della chiesa di Santa Maria all’interno del castello, risalente al 1280 che, con le trasformazioni avvenute nel 1628, venne spostata nel cortile inferiore e dedicata a Santa Barbara.
Due pozzi assicuravano l’approvvigionamento idrico ed erano presenti una fucina-fonderia e un mulino a mano.
Durante la signoria dei marchesi di Gavi, una delle torri del castello era di proprietà dell’imperatore Federico I, proprietario anche di una casa nel borgo.
Occupato dai Genovesi all’inizio del XIII secolo, il forte tornò alla Repubblica del 1528. Nel 1625 resiste agli attacchi delle milizie franco-sabaude che avevano invaso la valle del Lemme. Nel 1799, rimane l’unica fortificazione occupata dai francesi in Italia.
Eseguita la sua funzione militare, il forte viene adibito a casa di relegazione civile e, in particolare durante il secondo conflitto mondiale, a carcere militare.
Un monumento imponente che, per singolare destino, l’Ottocento e il Novecento hanno tramandato quasi incorrotto.
Nell’andito entro la torre, a fianco della porta romanica, permane la traccia visibile della dominazione lombarda e della signoria della Repubblica: un biscione visconteo accanto alla croce di San Giorgio.
Il disegno ordinato degli arredi architettonici, la simmetria delle luce, i camminamenti di ronda, i ponti levatoi e le relative torri di rinfianco, conferiscono al Forte di Gavi un contenuto d’arte pari a un pacifico castello residenziale.
Poco dopo il cimitero appare, isolato, il convento dedicato a N. s. delle Grazie.
Nella località Valle sorgeva un’edicola organa dell’effigie della Madonna col Bambino, dove predicò San Bernardino tra il 1429 e il 1431.
Nel 1455 venne eretta una cappelletta dedicata alla Vergine e, alla vecchia immagine della Madonna, si aggiunge una statua del Santo fatta realizzare da Spinetta Fregoso, signore di Gavi.
Nel 1466 fu edificata una chiesa intitolata a San Bernardino e nel 1590 si gettarono le fondamenta del convento di N. S. delle Grazie.
Durante la dominazione francese la struttura passò al demanio pubblico. L’istituzione, officiata inizialmente dagli Agostiniani, passò ai Carmelitani ed infine ai Frati Minori Osservanti.
La costruzione è composta dalla chiesa a ovest e dall’edificio conventuale sugli altri lati, comprendente chiostro, giardino e clausura.
L’interno della chiesa presenta tre navate definite da pilastri monolitici e volte a botte.
L’altare maggiore, in marmo, è contornato da sei sacrari dedicati a San Francesco, alla Madonna delle Grazie, a San Pasquale Baylon, a San Bovo, a Sant’Antonio da Padova e all’Immacolata Concezione.
Tutti gli altari vennero messi in opera tra il 1754 e il 1755, in sostituzione di quelli precedenti.
Nella festività di San Bovo, sul sagrato della chiesa, si teneva una fiera di bestiame.
LE OPERE
Conservata nel Convento vi è una statua in marmo che propone un’interpretazione molto realistica della figura di San Bernardino, risalente al 1455.
L’organo, opera dell’artigiano Camillo Guglielmo Bianchi, venne installato nel 1900.
Al fondo della galleria del chiostro, si trova una pittura murale che raffigura l’Albero della Santità Francescana, databile intorno al quarto decennio dell’Ottocento.
Sull’altura di Forneto, nel 1760 venne eretto un sacrario dove fu collocata una statua della Madonna col Bambino, che oggi sovrasta l’altare maggiore del Santuario della Guardia.
Nel 1800 la cappelletta di Forneto venne distrutta e la statua custodita prima dai Carmelitani, poi in un’abitazione privata, infine presso l’oratorio della SS. Trinità.
Nel 1847 iniziarono i lavori per la costruzione del Santuario e furono completati nel 1861. La struttura sorge al culmine del Colle dei Turchini, così denominato poiché era di proprietà della confraternita; ancora oggi i Turchini celebrano la liturgia della Croce sul piazzale.
Nel 1941 il Santuario venne affidato ai Padri della Congregazione dei Figli di Maria, che a Gavi attivarono le prime scuole medie.
L’interno, di ampie dimensioni e con pavimento in marmo rosso di Levanto,è strutturato a croce greca su pilastri massicci. L’altare maggiore è sormontato dalla nicchia con la settecentesca statua della Vergine, mentre i due altari laterali sono dedicati al Sacro Cuore e allo Sposalizio di Maria.
Nel 1880, fu posto in opera il concerto di quattro campane.
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.