Pare che questo territorio non fu abitato fino circa all’anno 1000. Durante il secolo XI sorse qui un monastero benedettino — o forse sarebbe meglio dire un hospitale gestito dai monaci? — volto ad essere un luogo di sosta per i pellegrini che intendevano arrivare a Genova per imbarcarsi verso Roma o la Terra Santa.
I marchesi Del Bosco, che già da tempo avevano in mano alcuni feudi un po’ più a nord, durante il XII secolo allungarono le mani anche su questi luoghi, dove sorse una sorta di stazione di posta, o forse una piccola fortificazione, che ospitava alcuni armati dei marchesi, ai quali era affidato il compito di presidiare il tratto di strada e riscuotere il pedaggio.
Nel frattempo, la ricchezza d’acqua e di legname aveva cominciato a rendere Masone sede di produzioni siderurgiche e non.
Alla fine del Duecento, l’esercito della Repubblica di Genova prese il piccolo feudo, e i nobili della Superba cominciarono a interessarsi a questo luogo proprio per le sue potenzialità “industriali”.
Già nel corso del Basso Medioevo, infatti, Masone divenne un importante centro produttivo dove arrivavano materie prime da altrove, e da dove partivano ferro, seta e carta.
Masone fu feudo di molte nobili famiglie genovesi. Ricordiamo Angelo Lomellino che, intorno alla metà del Trecento, fece costruire due ferriere e incentivò lo spostamento di maestranze lombarde esperte nella lavorazione del ferro.
L’antico monastero benedettino subì anch’esso diversi cambiamenti, soprattutto nel corso del Quattrocento, quando divenne anche monastero cistercense femminile, per poi essere abbandonato alla fine del secolo.
Negli anni ’20 del Cinquecento, Masone era in mano agli Spinola. Il marchese Antonio fece costruire un altro castello, così da presidiare la nuova strada che consentiva il valico degli Appennini.
Fu invece un Grimaldi, nella seconda metà dello stesso secolo, a incoraggiare la costruzione di un borgo intorno al castello, dove poterono prendere dimora coloro che arrivarono a Masone per lavorare alla produzione del ferro e del carbone vegetale. Lo stesso nobile finanziò la costruzione di una nuova chiesa con annesso un convento destinato ai frati agostiniani, che si sarebbero occupati della cura delle anime al posto del clero secolare.
Nella seconda metà del Seicento, però, le ferriere locali entrarono in crisi poiché non riuscirono a stare al passo con l’evolversi della tecnologia. Conseguentemente, aumentò il numero di abitanti di Masone dediti all’agricoltura, così sorsero molte cascine.
Nel 1747, il castello di Masone, a causa del suo legame con Genova, che era coinvolta nella Guerra di successione austriaca, venne assediato e, dopo la resa, fatto esplodere.
Nel 1790, Gian Carlo Pallavicini, nuovo proprietario del feudo, fece spianare le rovine del castello per trasformare il luogo in una grande piazza.
Intorno alla metà dell’Ottocento, le politiche sabaude sulle importazioni favorirono l’arrivo nel Regno di ferro inglese, dando così il colpo di grazia alla produzione siderurgica di Masone. Le uniche fucine che sopravvissero, e anzi fiorirono, in quell’epoca, furono quelle che producevano chiodi, che, per assurdo, altrove si stavano decimando.
L’Età moderna vide un moltiplicarsi di fortificazioni intorno alla Superba. Ciò coinvolse anche il territorio di Masone con l’edificazione di forte Geremia, terminata nel 1890.
Due sono i fenomeni che interessarono Masone nel Novecento: la villeggiatura della borghesia genovese e la Seconda guerra mondiale.
La prima portò alla costruzione di numerose ville, tra le quali spicca villa Bagnara, progettata da Gino Coppedè (Firenze, 1866-Roma, 1927).
La seconda portò l’occupazione e le rappresaglie nazifasciste. Inoltre, i boschi intorno a Masone, come tanti altri dell’Oltregiogo, diedero rifugio a numerosi partigiani, molti dei quali persero la vita nei rastrellamenti della Benedicta e del passo del Turchino.
Alla fine della guerra, Carlo Pastorino, sindaco di Masone, si occupò di dare degna sepoltura ai ragazzi che erano finiti nelle fosse comuni e volle riedificare l’antica chiesa cistercense così da renderla il sacrario delle spoglie di molti partigiani.
CHIESA PARROCCHIALE DI CRISTO RE E NOSTRA SIGNORA ASSUNTA
In stile neo-barocco, venne edificata negli anni ’20. È la terza chiesa più grande della diocesi di Acqui, a cui curiosamente appartiene; vanta un grande organo e un notevole concerto di campane di diverse epoche, la più piccola delle quali è del Seicento.
ORATORIO DELLA NATIVITÀ DI MARIA SANTISSIMA
Costruito negli anni ’80 del Cinquecento, l’oratorio è sede dell’Arciconfraternita della Natività di Maria Santissima e di San Carlo. La chiesa è caratterizzata da una cripta dove tuttora si possono osservare le antiche tombe e notare come, prima che Napoleone proibisse le inumazioni all’interno delle mura, il ceto d’appartenenza del defunto traspariva anche dalla sua sepoltura.
CHIESA DI SANTA MARIA DI VERZULLA
È questa la chiesa ricostruita per essere un sacrario partigiano. Anticamente in questo luogo vi era un monastero prima benedettino e poi cistercense; è chiamata chiesa del Romitorio poiché pare che, prima ancora del monastero, vi fosse un eremo.
MUSEO CIVICO ANDREA TUBINO
Allestito nell’ex convento agostiniano, il museo raccoglie la collezione Tubino, costituita da più di 5000 pezzi che raccontano gli usi e i costumi della valle Stura. Un piano è quasi interamente dedicato alla tradizione del presepe: vi sono esposte statuine antiche e contemporanee e, durante il periodo natalizio, vi viene allestito un enorme presepe meccanizzato raffigurante Masone così com’era un secolo fa.
Al secondo piano si trovano e reperti di archeologia industriale e non, nonché la ricostruzione di una fucina e di un antico forno.
L’ultimo piano custodisce oggetti che consentono di ricostruire la storia dell’illuminazione, una biblioteca e la cappella dei frati agostiniani.
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